L’opinione più gettonata è che la quotidianità – potrei chiamarla routine, ma mi piace di più il nostro termine che rievoca un calore diverso – sia noiosa e quasi nociva.
Ci pensavo l’altro giorno, mentre mi preparavo un caffè alla solita ora, la casa solo per me e un mucchio di e-mail a cui rispondere. Io non definirei questo ripetersi ordinato di azioni noioso, lo chiamerei piuttosto rassicurante.
Dopo cinque settimane passate tra la mia vecchia cameretta e la meravigliosa Scozia ho capito quanto mi siano cari quei gesti ordinari a cui non diamo più peso. Forse è qui che sbagliamo, è questa la chiave che ci fa facilmente cadere in errore: non diamo peso a questa ciclicità.
Svegliarsi con l’odore del pane tostato, vedere la lucina della macchinetta che mi avvisa che posso scegliere l’intensità del caffè, accendere il pc per tuffarmi in una nuova giornata fatta di colleghi in giro per il mondo.
Chissà se anche loro rispondono alle mail con il respiro ancora caldo di sonno e il caffè in una mano. Casa.
Possiamo disprezzare questo ripetitivo circolo, definirlo vizioso, ma in realtà lo cerchiamo. Anche in viaggio, mentre vediamo e respiriamo cose diverse, anche mentre ci sforziamo di parlare una lingua non nostra, in realtà non vediamo l’ora di chiedere le stesse cose per colazione, anche se le abbiamo assaggiate per la prima volta solo il giorno prima.
Siamo esseri che hanno bisogni di conforto, piccoli, intramutabili gesti ereditati da nonne, madri, antenati che non sapevamo neanche di avere.
Si riduce tutto a questo, a come nostra nonna faceva il caffè e a quanto familiare e antico sia il rumore del caffè che inizia a scendere cremoso lungo la torre in alluminio delle caffettiere tradizionali.